Ho dato tutto a mio figlio, rimanendo con colpa e solitudine

Ho dato tutto a mio figlio, e ora mi ritrovo con sensi di colpa e solitudine.

Ho sessantanove anni. Vivo in un vecchio bilocale alla periferia di Napoli. Da anni mi sveglio e mi addormento con un’ansia che mi tormenta. Non per la solitudine, no – dall’altra parte della parete sottile dorme mio figlio. Ma ogni sera temo che torni a casa ubriaco, che inizi a urlare, a chiedermi soldi, ad accusarmi di tutti i suoi guai. E so che ha ragione. Ha tutto il diritto di essere arrabbiato. Perché quei guai, in parte, li ho creati io.

Mio figlio, Emilio, ha quarantacinque anni. Nella sua vita si è sposato due volte e ha vissuto con altre due donne. Nessuna di loro l’ho mai accettata. Sono una madre che credeva di sapere cosa fosse meglio per lui. Cosa c’è di più forte dell’istinto materno? Ero convinta di proteggerlo dagli errori, dai matrimoni sbagliati, dalla sofferenza. Solo che ora capisco: non proteggevo lui, ma il mio orgoglio.

La sua prima moglie, Luisa, era una ragazza di paese. Si erano sposati da studenti, innamorati e ingenui. Io, invece, avevo già deciso: non era all’altezza. Troppo semplice, troppo alla buona. Non li ho fatti entrare in casa, e così hanno vissuto in un dormitorio universitario. Continuavo a intromettermi con consigli non richiesti, commenti velenosi. Alla fine, hanno divorziato. Lui è tornato da me – sconfitto, umiliato. E io mi sentivo la vincitrice.

Passarono anni. Nella sua vita arrivò Maria – dolce, serena, gentile. Una credente. Pregava, andava in chiesa, sognava un matrimonio in vaticano. E io… Non ho resistito. Risatine, ironia, frecciatine. Mi sembrava volesse trascinare mio figlio nella sua religione, nel suo mondo. Ho distrutto anche questa relazione.

Poi ci fu Giulia, una ragazza senza famiglia. A quel tempo mio figlio studiava per la sua seconda laurea e aveva grandi progetti. Lei, invece, veniva da un passato difficile. Ero sicura si fosse messa con lui solo per interesse. Mi sono intromessa di nuovo. E ancora una volta, ho rovinato tutto.

Quando capii che aspettare la nuora perfetta era inutile, decisi di trovargliela io. La scelsi tra una famiglia benestante, con soldi e una carriera avviata. Iniziammo persino a organizzare il matrimonio. Ma dopo un mese, mio figlio mollò tutto. Tornò a casa a metà giornata, gettò le chiavi sul tavolo e disse: “Non voglio più vivere come mi imponi tu.”

Da quel giorno iniziò la sua rovina. Prima passava le giornate chiuso in casa. Poi cominciò a bere. Adesso lo fa ogni giorno. A volte da solo, a volte con amici disoccupati come lui. Prende la mia pensione, ogni tanto fa qualche lavoretto, ma tutto finisce in vino. In casa ci sono solo puzza e disordine. E io mi vergogno di fronte ai vicini.

Mi guardo allo specchio e mi chiedo: dove ho sbagliato? Perché io, che l’ho cresciuto da sola, gli ho dato rancore invece che sostegno? Perché il mio amore l’ha solo distrutto?

Le sue ex? Hanno tutte trovato la loro strada. Luisa è risposata, ha due figli, una casa e un lavoro. Maria canta nel coro della chiesa e cresce suo figlio con un marito che la adora. Giulia sta per sposarsi, vive a Firenze, e nelle foto che mia sorella mi mostra di nascosto, sorride.

E io… Ho paura dei rumori nel corridoio. Ho paura che mio figlio torni furioso. Ho paura persino di girarmi nel letto, nel caso lo svegli. Sono una donna anziana, malata e sola, che ha dato tutto a suo figlio – e alla fine, gliel’ho portato via.

Se potessi tornare indietro… Non mi intrometterei. Non farei pressioni. Lo abbraccerei e direi: “Sii felice, figlio mio, come credi. Io ci sarò sempre.” Ma ora è troppo tardi. Ora prego solo Dio di darmi la forza per arrivare alla fine.

Che la mia storia serva da monito. Non spezzate le ali ai vostri figli. Non costruite la vita al posto loro. Amateli, e lasciateli andare. Solo così potranno davvero volare.

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