Abbiamo dato tutto a nostro figlio, e ora siamo solo falliti ai suoi occhi

Avevamo dato a nostro figlio tutto ciò che potevamo, e ora per lui siamo solo dei poveracci e dei falliti.

Io ho cinquant’anni, mio marito cinquantacinque. Abbiamo sempre vissuto con modestia, ma uniti, cercando di sostenerci a vicenda, superando insieme le difficoltà. Abbiamo cresciuto nostro figlio, Luca. Di recente ha compiuto ventitré anni e ha annunciato che vuole andare a vivere da solo. L’abbiamo presa con calma, è l’età giusta. Ma dietro quella decisione si nascondeva qualcosa di molto più sgradevole.

L’idea di Luca non era affittare un appartamento. Secondo lui, noi genitori avevamo il dovere di comprargli una casa. E aveva già un piano preciso: vendere il nostro accogliente bilocale, pieno di ricordi, per comprarne due monolocali: uno per noi e uno per lui.

All’inizio sono rimasta senza parole. Non era solo un appartamento, era la nostra casa, il nostro nido, dove avevamo messo tutte le nostre energie, i nostri ricordi, la nostra vita… Qui era passato tutto il nostro passato, i momenti belli e quelli difficili.

Mio marito ha rifiutato subito, senza mezzi termini. È vecchia scuola, crede che un figlio adulto debba lavorare, risparmiare e costruirsi la sua vita da solo. E lo capisco. Non siamo milionari, ma abbiamo fatto di tutto per Luca: lui aveva vestiti di marca, frequentava corsi, aveva i suoi ripetitori, abbiamo pagato gli studi, il cibo, le medicine. Quando ha voluto rifare la sua camera, l’abbiamo aiutato anche con quello.

Ma pare che per lui non sia abbastanza. A quanto pare, si vergogna di vivere ancora con i genitori. Secondo lui, “alla sua età” è una cosa da poveracci. E per questo trova giusto che noi vendiamo la nostra casa per il suo comfort.

Quando suo padre gli ha detto di no, Luca ha fatto una scenata che mi ha messo i brividi. Ha gridato che i genitori normali assicurano una casa ai figli, che siamo degli squattrinati, che non siamo una vera famiglia, e che non aveva nemmeno chiesto di nascere. “Potevate pensarci prima”, ha urlato in faccia a suo padre.

Da allora, io e mio figlio quasi non ci parliamo. Mio marito dice che si calmerà, che è una cosa passeggera, temporanea. Ma io non so… La notte resto sveglia, fisso il soffitto e penso: e se avesse ragione lui? Se, avendolo messo al mondo, avessimo dovuto garantirgli una partenza migliore? E se non ci siamo riusciti… che merito abbiamo noi?

Poi però mi riprendo. Gli abbiamo dato tutto quello che potevamo. Tutto. Senza riserve. E lui? Lui sta nella sua camera, non paga le bollette, non ci aiuta. Non dice nemmeno grazie. Zero responsabilità, zero gratitudine. Solo pretese: “Datemi”.

Sì, non siamo ricchi. Ma abbiamo lavorato da matti. Gli abbiamo dato amore, un tetto, da mangiare, cure, un’istruzione. Non l’abbiamo abbandonato, tradito, non siamo stati violenti. E ora che è cresciuto, gli facciamo schifo perché siamo “poveri”?

Sarò dura, ma a ventitré anni un ragazzo può benissimo permettersi un affitto. Non ha tre anni. Che invece scelga di manipolare i genitori… quella è colpa sua, non nostra.

Allora, siamo davvero dei genitori così terribili? O abbiamo il diritto di dire “no” quando qualcuno vuole che sacrifichiamo il poco che ci resta per le sue ambizioni?

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