Tre matrimoni e la ricerca dell’essere la moglie perfetta: ora temo la solitudine nella vecchiaia.

Mi sono sposata tre volte e ogni volta mi sono sforzata di essere una moglie perfetta: ora ho paura di restare sola nel tramonto della vita.

Ho legato il mio destino al matrimonio per ben tre volte, e ogni volta ho dato l’anima per essere una moglie esemplare: premurosa, paziente, pronta a sacrificarmi per chi amavo. Ma quei tre tentativi di costruire la felicità si sono trasformati in amare delusioni. E ora mi tortura una paura: e se la vecchiaia la dovessi affrontare nel vuoto e nella solitudine?

Il mio primo marito, Marco, se ne andò lanciandomi in faccia parole crudeli: «Mi sei venuta a noia». Gli ero venuta a noia io, i nostri figli, le mie cure, i miei sforzi. «Sei noiosa — mi disse con disprezzo. — Tutto quello che sai fare è cucinare pasta al pomodoro». Allora credevo che la felicità di una donna fosse quella: essere una brava massaia, una madre, il sostegno del marito. Non capivo come trattenerlo, cosa fare per farlo restare. E così rimasi sola con due bambini tra le braccia, confusa e annientata.

Il mio secondo marito, Luca, entrò nella mia vita quando già speravo che le cose sarebbero state diverse. Avevo imparato dai miei errori: cercavo di essere più saggia, di chiedere meno, di perdonare di più. Ma il destino mi colpì ancora: i soldi non bastavano mai, ci uccidevamo di lavoro, e poi mi ammalai. Niente di mortale, ma abbastanza per avere bisogno di sostegno. Ed è allora che vidi il suo vero volto. Non urlò, non fece scenate: semplicemente impacchettò le sue cose e se ne andò con un’altra. Una moglie malata, tre figli: perché farsi quel peso? Sparì dalla mia vita silenzioso come un’ombra nella notte, lasciandomi a lottare da sola.

Il mio terzo marito, Alessandro, fu la mia vera prova. Quando ci incontrammo in un paesino vicino a Milano, era un uomo distrutto, senza meta né speranza. Io lo trascinai fuori dall’abisso: lo aiutai a rimettersi in piedi, gli diedi metà del mio stipendio, incoraggiai i suoi sogni. Lo tirai avanti come un barcaiolo che rema contro corrente, senza risparmiarmi. Lui, invece, non fece mai nulla per me: neppure un gesto gentile, neppure un grazie. Ma mi ripetevo: l’uomo è il capofamiglia, e io devo sostenerlo, anche se significa portare tutto il peso sulle mie spalle. Poi, un giorno, mi fissò con occhi gelidi e sentenziò: «Ti sei lasciata andare. Sei vecchia, trasandata».

Lui ha solo tre anni in meno di me, ma si considera ancora giovane, pieno di energie, mentre io sono ormai una rovina, indegna della sua attenzione. E queste parole me le dice un uomo che ho mantenuto, nutrito, rialzato dalle sue cadute! Fui travolta dalla rabbia. Non ce la feci più: smisi di dargli soldi, e lui mi accusò subito di essere avara, tirò fuori tutti i miei «difetti» come se gli fossi debitrice per sempre. Le sue parole mi trafiggevano come lame, ma mi aprirono gli occhi: non voglio più vivere per qualcuno che non mi apprezza.

E ora mi trovo a un bivio, a oltre quarant’anni, con il cuore a pezzi e le mani vuote. Ho dedicato anni a queste relazioni, ho speso tutte le mie energie per renderle migliori, e cosa ho ottenuto? Nulla. Ho paura persino di pensare al futuro. Chi potrà mai volermi ora? Perché alle donne mature nessuno vuole bene, o mi sbaglio? Questi pensieri mi consumano come un vento gelido in una notte d’autunno, e non so dove trovare risposta. Tre volte ho provato a costruire una famiglia, tre volte mi sono bruciata, e ora la paura della solitudine bussa alla mia porta sempre più forte. È davvero tutto qui quello che mi aspetta? Dovrò restare sola a guardare la vita che mi passa accanto?

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