«Non sono incinta!» — gridavo, ma il test nelle mie mani diceva il contrario…

«Non sono incinta!» urlai, ma il test tra le mie mani diceva il contrario…

Alessia aveva appena finito di pulire il bilocale a Verona quando qualcuno bussò insistentemente alla porta. Si asciugò velocemente le mani sul canovaccio da cucina e andò ad aprire. Sulla soglia c’era sua suocera, Vittoria Renata. Uno sguardo gelido, un mezzo sorriso, e senza neanche salutare, entrò in casa come se fosse la sua proprietà.

«Buongiorno, a cosa dobbiamo il piacere?» cercò di non scattare Alessia.

«Volevo solo fare una visitina,» rispose distrattamente Vittoria, già diretta in cucina per prendere la sua tazza preferita dall’armadio.

«Avrebbe potuto avvisare… Sono occupata. Non mi piace quando la gente si presenta così, senza preavviso.»

La suocera sbuffò:

«Scusami se entro a casa mia senza permesso. O devo prenotare un appuntamento adesso?»

Alessia arrossì. Quella costante allusione al fatto che lei e suo marito vivessero lì solo perché era la casa di Vittoria, in attesa di pagare i debiti, la feriva ogni volta. Pagavano le bollette, ma ogni visita si trasformava in un monologo passivo-aggressivo.

«Come va?» chiese la suocera, sedendosi al tavolo della cucina come se fosse la padrona di casa.

«Tutto bene,» borbottò Alessia, sentendo l’irritazione salirle dentro.

«Avete già pensato a un nome per il bambino?»

«Quale bambino?» Alessia alzò le sopracciglia.

«Quello che partorirai tra nove mesi,» disse Vittoria senza battere ciglio, con un sorrisetto.

«Ma che dici?! Non sono incinta!»

«È che hai un’aria strana. Pallida, distratta. Alla tua età io capii subito di aspettare un figlio.»

«Sto benissimo,» tagliò corto Alessia, cercando di restare calma.

Ma la suocera, come se non avesse sentito, continuò:

«Vieni al supermercato con me? Ho la macchina. Tanto non hai nulla da fare.»

Alessia avrebbe voluto rifiutare, ma le gambe le dolevano dalla stanchezza e portare le buste da sola sarebbe stato un supplizio. Accettò a denti stretti. Si vestì in fretta, ma anche così sentì:

«Nel tempo che ci hai messo, avrei potuto crescere un nipote.»

In macchina, silenzio. Tensione palpabile. Vittoria guidava con sicurezza, come se anche l’aria le obbedisse.

«Senti, perché prendi questa roba?» fece un cenno verso gli spaghetti economici e le salsicce.

«Non possiamo permetterci di meglio. Abbiamo debiti da pagare.»

«Ah, già, mi ero dimenticata,» disse distrattamente la donna.

Mentre tornavano alla macchina, all’improvviso Alessia vacillò. La vista le si offuscò, le gambe cedettero. Vittoria la afferrò appena in tempo.

«Alessia! Che ti succede?!»

La fece sedere in auto, le diede dell’acqua, le sventolò le mani davanti al viso. Alessia riprese fiato lentamente:

«È solo… stanchezza…»

Ma Vittoria ormai aveva i suoi sospetti. Tornando a casa, rimase in silenzio. Una volta dentro, Alessia si mise a sistemare le borse e a fare altro, fingendo che nulla fosse. Ma la suocera non mollò:

«Ti capita spesso?»

«Qualche volta. Niente di grave,» bofonchiò Alessia.

«A me succedeva così quando aspettavo Matteo.»

«Ma cosa?!» esplose lei. «Non sono incinta! Adesso non è il momento, non abbiamo soldi, e—»

«E se invece lo fossi? Tutto può succedere.»

«Non sono incinta!» quasi gridò Alessia. «E non voglio parlarne con voi!»

«Non alzare la voce. Piuttosto fai un test, invece di urlare.»

«Voi venite solo per criticare! Perché siete venuta oggi?»

«Mi sei sembrata strana, tra l’altro. Svenire per strada! E tu pure rispondi male.»

La suocera si alzò, indossò il cappotto, e prima di uscire le lanciò freddamente:

«Se scoprirai di essere incinta, sappi che con i nipoti ti aiuterò.»

Alessia le sbatté la porta dietro. Il cuore le batteva forte, le mani tremavano. Dentro di sé sentiva una fitta… quasi dolorosa, ma non del tutto…

Quella sera, tirò fuori il test che aveva comprato «per sicurezza». Cinque minuti dopo: due linee rosse ben visibili. Alessia si sedette a terra e scoppiò in lacrime. Era paura. Panico. E… un calore struggente.

Quando Matteo tornò dal lavoro, lo trovò davanti alla porta, con il test in mano:

«Io… sono incinta…»

Lui rimase immobile, poi, come se un peso fosse caduto:

«Davvero? Sul serio?»

«Non so come sia successo…»

«L’importante è che ora non sei sola. Saremo insieme. O forse in tre. Ce la faremo, Ale.»

Finalmente sorrise. Timidamente, ma sinceramente.

Un’ora dopo, chiamò la suocera:

«Vittoria Renata… Avevate ragione. Sono incinta.»

«E menomale,» sussurrò lei, senza nascondere le lacrime. «L’avevo sentito…»

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«Non sono incinta!» — gridavo, ma il test nelle mie mani diceva il contrario…
Ha nutrito tutti con fiocchi d’avena e zuppe magre per scacciare i fannulloni.