Il figlio e la nuora cacciano il padre anziano di casa. Quando era quasi assiderato, una zampa gli sfiorò il viso…

Il figlio e la nuora cacciarono il vecchio padre dalla sua stessa casa. L’anziano stava già per congelare quando una zampa gli sfiorò il viso…

Alessandro sedeva su una panchina ghiacciata in un parco nei dintorni di Verona, tremante per il freddo pungente. Il vento ululava come una bestia affamata, la neve cadeva a fiocchi e la notte sembrava un abisso nero senza fine. Guardava nel vuoto davanti a sé, incapace di capire come fosse possibile che lui, un uomo che aveva costruito la sua casa con le proprie mani, si ritrovasse buttato in strada come un oggetto inutile.

Poche ore prima era ancora tra quelle mura che conosceva da una vita. Ma suo figlio, Matteo, lo aveva guardato con un’indifferenza glaciale, come se fosse un estraneo e non suo padre.

«Papà, io e Giulia siamo stretti qui» aveva detto senza battere ciglio. «E poi non sei più giovane, sarebbe meglio per te una casa di riposo o una stanza in affitto. Tanto hai la pensione…»

Giulia, la nuora, era lì accanto, annuendo in silenzio, come se fosse la cosa più naturale del mondo.

«Ma… è casa mia…» La voce di Alessandro tremava non per il freddo, ma per il dolore del tradimento che lo lacerava dentro.

«Hai già firmato tutto a nome mio» Matteo aveva scrollato le spalle con una freddezza che gli aveva tolto il respiro. «I documenti sono in regola, papà.»

E in quel momento l’anziano aveva capito: non gli restava più niente.

Non aveva nemmeno provato a discutere. Orgoglio o disperazione, qualcosa lo aveva spinto a girarsi e andarsene, lasciando dietro di sé tutto ciò che gli era caro.

Adesso era seduto al buio, avvolto in un cappotto logoro, e i suoi pensieri si confondevano: com’era possibile che avesse fiducia nel figlio, che lo avesse cresciuto, che avesse dato tutto per lui, solo per ritrovarsi di troppo? Il freddo gli penetrava nelle ossa, ma il dolore nell’anima era più forte.

Poi sentì quel tocco.

Una zampa pelosa e calda gli sfiorò la mano intirizzita.

Davanti c’era un cane—enorme, scarmigliato, con occhi buoni, quasi umani. Lo fissò per un attimo, poi gli strofinò il naso umido contro il palmo, come per dirgli: «Non sei solo».

«Da dove spunti, amico?» sussurrò il vecchio, trattenendo le lacrime che gli salivano in gola.

Il cane scodinzolò e con delicatezza afferrò il lembo del suo cappotto coi denti.

«Che hai in mente?» si stupì Alessandro, ma nella sua voce non c’era più la stessa disperazione.

Il cane insistette, e il vecchio, con un sospiro pesante, decise di seguirlo. Cosa aveva da perdere?

Percorsero qualche strada innevata, finché una porta si aprì. Sulla soglia c’era una donna avvolta in una sciarpa di lana.

«Arturo! Dove sei finito, monello!» esclamò, ma alla vista dell’anziano tremante, si fermò. «Santo cielo… Sta male?»

Alessandro voleva dire che sarebbe andato tutto bene, ma dalla gola gli uscì solo un gemito rauco.

«Sta morendo di freddo! Entri subito!» Lo afferrò per un braccio e quasi lo trascinò dentro.

Quando riprese i sensi, Alessandro era in una stanza calda. Nell’aria c’era il profumo del caffè appena fatto e di qualcosa di dolce—forse brioche alla cannella. Non capiva subito dove fosse, ma il tepore si diffondeva nel suo corpo, scacciando il gelo e la paura.

«Buongiorno» disse una voce gentile.

Si voltò. La donna che lo aveva salvato quella notte era sulla porta, con un vassoio tra le mani.

«Mi chiamo Daniela» sorrise. «E lei?»

«Alessandro…»

«Be’, Alessandro» il suo sorriso si fece più largo, «il mio Arturo non porta a casa nessuno. Lei è stato fortunato.»

Lui rispose con un sorriso stanco.

«Non so come ringraziarla…»

«Mi racconti come è finito in strada con questo freddo» chiese lei, posando il vassoio sul tavolo.

Alessandro esitò. Ma negli occhi di Daniela c’era una tale sincerità che alla fine raccontò tutto: la casa, il figlio, il tradimento di chi aveva amato più di ogni cosa.

Quando finì, nella stanza cadde un silenzio profondo.

«Rimanga con me» disse improvvisamente Daniela.

Lui la guardò, sbalordito.

«Cosa?»

«Vivo da sola, io e Arturo. Mi manca qualcuno accanto, e a lei serve una casa.»

«Io… non so che dire…»

«Dica di sì» sorrise di nuovo, e Arturo, come per approvare, gli strofinò il muso sulla mano.

E in quel momento Alessandro capì: aveva trovato una nuova famiglia.

Dopo qualche mese, con l’aiuto di Daniela, fece causa. I documenti che Matteo gli aveva fatto firmare furono annullati. La casa tornò sua.

Ma Alessandro non ci andò.

«Quel posto non è più mio» disse piano, guardando Daniela. «Che se lo tengano.»

«Hai ragione» annuì lei. «Perché casa tua è qui adesso.»

Lui guardò Arturo, la cucina accogliente, la donna che gli aveva ridato calore e speranza. La vita non era finita—stava ricominciando, e per la prima volta dopo anni Alessandro sentì che poteva ancora essere felice.

**Morale della storia:** *A volte, la famiglia non è nel sangue, ma in chi ti tende una mano quando più ne hai bisogno.*

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Il figlio e la nuora cacciano il padre anziano di casa. Quando era quasi assiderato, una zampa gli sfiorò il viso…
Mia madre è gravemente malata e non provo alcuna emozione al riguardo. Se lo merita.