«Il Premio è Mio, ma l’Telefono è Della Suocera»

«Il premio l’ho vinto io, ma l’iPhone è andato alla suocera»

Quando Ginevra finalmente ricevette il tanto atteso premio di 2500 euro, le sembrò che il destino, seppur in ritardo, l’avesse finalmente ripagata. Mesi di straordinari, notti insonni, la responsabilità su tre colleghi in ufficio—ed eccolo lì, il risultato. I soldi. Il simbolo del riconoscimento.

Tornò a casa di ottimo umore. Il marito, come al solito, la accolse sul divano—disoccupato da tre mesi, era immerso nella sua amata strategia online e si limitò a girarsi pigramente quando sentì il clic della serratura.

«Amedeo, indovina un po’? Oggi mi hanno dato il premio!» esclamà Ginevra con un sorriso, togliendosi il cappotto.

Lui, senza staccare gli occhi dallo schermo, borbottò:

«Brava, te lo sei meritato. Lavori come una dannata.»

Era sempre stato così: schietto. Solo che ultimamente aveva iniziato a notare qualcosa di nuovo nella sua voce—indifferenza, quasi risentimento, come se il suo successo lo sminuisse.

Il giorno dopo, Ginevra invitò a casa la suocera, Rosalba. Non era mai stata una fan della nuora: la minestra era troppo salata, c’era polvere sotto l’armadio. Ma Ginevra ci metteva impegno. Capiva che era l’età, la solitudine, la preoccupazione per il figlio. L’invito fu accolto con entusiasmo.

«Almeno pranzeremo come si deve,» brontolò Amedeo. «A mamma avevo promesso un risotto alla milanese.»

E fu allora che Ginevra lo vide… l’iPhone. Nuovo, ultimo modello, ancora con la pellicola protettiva. Era posato sul tavolo davanti a Rosalba, come esposto apposta per farsi notare.

«Rosalba… da dove viene quel telefono?» non poté fare a meno di chiedere.

«Oh, me l’ha regalato Amedeo! Che figlio premuroso. Mi ha detto: “Mamma, sei la migliore!”» La suocera sorrise, e persino le guance le si colorirono di rosa.

Ginevra sentì il sangue ritirarsi dal viso. Impallidì. Il cuore le martellava in gola.

«Amedeo, puoi venire un attimo?» disse, trattenendo a malapena la calma.

Sbuffando, lui entrò in camera da letto.

«Hai perso la testa?! Hai regalato un iPhone da millecinquecento euro?!» sibilà lei.

«Beh…» si grattò la nuca. «Hai preso il premio, no? Non devi essere tu l’unica felice. Anche a mamma fa piacere.»

«ERANO I MIEI SOLDI!» esplose. «Te l’avevo detto chiaramente: erano per le emergenze. Per vivere. Per il futuro!»

«E allora? Siamo una famiglia. Tanto guadagni tu. A mamma è piaciuto.»

Dentro di lei ribolliva. Senza dire una parola, andò in camera, aprì il cassetto del comodino dove teneva il suo fondo di riserva. Vuoto. Nemmeno un euro. Restò immobile a fissare il vuoto, sentendo che tra loro si era aperta una crepa, come in un vetro rotto, qualcosa di irreparabile.

La mattina dopo, finse che tutto fosse normale. Colazione, caffè, un bacio sulla guancia—e via in ufficio. Ma intanto fece un ordine online… per un laptop da gaming. Il modello che Amedevo sognava da settimane, con scheda video top, raffreddamento a liquido e luci al neon. Scelse pure il pacchetto regalo.

Due giorni dopo, il laptop arrivò. Ma nonarono loro.

«Amedeo, ricordi quel computer che volevi?» chiese a cena.

«Ehm, sì… perché?»

«Te l’ho ordinato. Il migliore. Ti piacerà.»

«Davvero?!» saltò su. «Dov’è?»

«Da tua madre.»

«COSA?»

«Ho pensato: visto che ti piace tanto farle regali, lascia che giochi a Candy Crush con il tuo nuovo laptop. O magari inizi a fare streaming?»

Amedeo impallidì. Poi arrossì. Poi impallidì di nuovo.

«Sei impazzita?!»

«Ah sì? E tu no, quando hai speso TUTTO il mio premio senza nemmeno dirmelo?»

Si mise a balbettare scuse, promettendo di restituire tutto.

«Lo farai,» disse Ginevra gelida. «Ma prima troverai un lavoro. E finché non porterai a casa almeno uno stipendio minimo, non avrai accesso a nessun conto.»

Cambiò le password. Aprì un conto separato. Cancellò la sua impronta dall’app della banca. Lasciò sul tavolo della cucina un foglio con i numeri delle agenzie di collocamento.

Una settimana dopo, Amedeo trovò lavoro come fattorino. Rosalba chiamò tre volte al giorno, si lamentò, pianse, definì Ginevra un mostro. Ma lei rispondeva sempre la stessa cosa:

«Faccia sì che suo figlio impari a rispettare il lavoro altrui. Poi ne riparleremo.»

Cosa sarebbe successo dopo, Ginevra non lo sapeva ancora. Forse un divorzio. O forse no. Ma una cosa era certa: nessun uomo avrebbe più gestito il frutto del suo lavoro.

E la suocera poteva pure tenersi l’iPhone. L’anno prossimo, niente nuovo modello.

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«Il Premio è Mio, ma l’Telefono è Della Suocera»
Oggi compio cinquant’anni e realizzo una dura verità