«Non sono incinta!» – urlai, ma il test tra le mani diceva il contrario…

“Non sono incinta!” urlavo, ma il test tra le mie mani diceva il contrario…

Avevo appena finito di pulire il piccolo appartamento a Modena quando qualcuno bussò con insistenza alla porta. Mi asciugai in fretta le mani sul grembiule e andai ad aprire. Sulla soglia c’era mia suocera, Valeria Romano. Uno sguardo tagliente, un sorrisetto appena accennato, e senza neanche salutare, si infilò nell’ingresso come se fosse casa sua.

“Buongiorno, a che dobbiamo questa visita?” dissi, cercando di mantenere la calma.

“Volevo solo vedere come state,” rispose con distacco, già diretta in cucina, dove aprì l’armadietto e prese la sua tazza preferita.

“Avrebbe potuto avvisare… Sono occupata. Non mi piace quando la gente arriva così, senza preavviso.”

Lei sbuffò:

“Scusami se sono entrata nella mia casa senza permesso. O devo prenotare un appuntamento?”

Mi sentii bruciare il viso. Quel costante rimprovero sul fatto che io e mio marito vivessimo lì solo per sua concessione mi feriva sempre. Ci aveva offerto l’appartamento finché non avessimo ripagato i nostri debiti. Pagavamo le bollette, ma ogni sua visita si trasformava in un campo di battaglia silenzioso.

“Come va?” chiese, sedendosi al tavolo come se fosse la padrona di casa.

“Tutto bene,” borbottai, sentendo l’irritazione salirmi dentro.

“Avete già scelto un nome per il bambino?”

“Che bambino?” alzai le sopracciglia.

“Quello che partorirai tra nove mesi,” rispose lei senza batter ciglio, con un sorriso sarcastico.

“Ma che sta dicendo?! Non sono incinta!”

“Ti vedo strana. Pallida, distratta. Alla tua età, io capii subito di aspettare un figlio.”

“Sto benissimo,” tagliai corto, cercando di non alzare la voce.

Ma lei, come se non mi avesse sentita, continuò:

“Andiamo a fare la spesa? Mi offro io di guidare. Tanto non hai niente da fare.”

Avevo voglia di rifiutare. Le gambe mi dolevano dalla stanchezza, e trasportare le buste mi avrebbe stancato ancora di più. Alla fine accettai di malavoglia. Mi vestii in fretta, ma non bastò:

“Mentre ti preparavi, avrei potuto crescere un nipote.”

In macchina, un silenzio pesante. L’aria era tesa. Valeria sembrava padrona di ogni respiro all’interno dell’abitacolo.

“Perché prendi queste schifezze?” fece un cenno verso gli spaghetti economici e i wurstel.

“Non possiamo permetterci di meglio. Abbiamo debiti.”

“Aah, dimenticavo,” replicò con un’alzata di spalle.

Mentre tornavamo alla macchina, all’improvviso vacillai. La vista si offuscò, le gambe cedettero. Valeria mi afferrò appena in tempo.

“Chiara!” esclamò con voce tesa. “Cosa ti succede?”

Mi fece sedere in macchina, mi diede dell’acqua, mi sventolò vicino al viso. Ripresi lentamente i sensi:

“È solo… stanchezza…”

Ma nei suoi occhi lessi che aveva già capito. Durante il viaggio di ritorno rimase in silenzio. A casa, mi misi subito a sistemare la spesa e a riordinare, come se niente fosse. Ma lei non mollò:

“Ti capita spesso?”

“Qualche volta. Niente di grave,” mormorai.

“A me succedeva quando aspettavo Matteo.”

“Ma insomma!” esplosi. “Non sono incinta! Ora non è il momento, non abbiamo i soldi, e—”

“E se lo fossi? Tutto può succedere.”

“Non sono incinta!” quasi urlai. “E non voglio parlarne con lei!”

“Non alzare la voce. Fai un test, invece di gridare.”

“Lei viene qui solo per criticarmi! Perché è venuta?”

“Mi sei sembrata male, tra l’altro! Svenuta per strada! E adesso mi rispondi così?”

Si alzò, indossò il cappotto, e prima di uscire mi lanciò freddamente:

“Se scoprirai di essere incinta, colla di sapere che aiuterò con i miei nipoti.”

Sbatté la porta. Il cuore mi batteva forte, le mani tremavano. Dentro di me, una fitta… qualcosa tra la paura e… no, impossibile.

Quella sera, alla fine, presi quel test che avevo comprato “per ogni evenienza”. Cinque minuti dopo, due linee ben definite. Mi accasciai sul pavimento e scoppiai a piangere. Era terrore. Panico. E… un calore struggente.

Quando mio marito tornò dal lavoro, lo aspettai sulla porta con il test in mano:

“Io… sono incinta…”

Matteo rimase immobile un attimo, poi si sciolse in un sorriso:

“Davvero? Sul serio?”

“Non so come sia successo…”

“L’importante è che tu non sia sola. Saremo in due. O forse in tre. Ce la faremo, Chiara.”

Sorrisi per la prima volta che quel giorno. Timidamente, ma con sincerità.

Un’ora dopo, chiamai mia suocera:

“Valeria… Aveva ragione. Sono incinta.”

“Era ora,” sussurrò lei, senza nascondere le lacrime. “L’avevo sentito…”

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«Non sono incinta!» – urlai, ma il test tra le mani diceva il contrario…
A 65 anni, detesto le visite a casa mia.